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Ron Carter in Italian

 

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...non usando altro che il suo basso

 

Quando Warren Murchie di Global Bass mi ha informato che aveva preso accordi per la mia intervista col grande Ron Carter la mia prima reazione è stata PAURA. Ron, senza dubbio uno dei più influenti bassisti del mondo, ha fatto così tante interviste durante la sua lunga carriera; lo so per certo perchè me le sono studiate tutte, e temevo che non sarebbe stato interessato e che le sue risposte sarebbero state laconiche. Ho detto a Warren che avrei accettato la sfida e che avrei fatto un pezzo su Ron come nessun’altro prima. Ho pensato che sarebbe stato un  gesto d’affetto scrivere di una persona che è stata un’icona per migliaia di musicisti in tutto il mondo -- e con chi scrive in cima alla lista.

Ora più che mai credo che ciascuno di noi abbia un destino e che tutto quanto c’è di buono o di cattivo capiti per una ragione. Altrimenti come si spiegherebbe che Ron un giorno abbia preso in mano il basso... ed abbia finito per cambiare il mondo! è stato il destino a fare finalmente conoscere Ron Carter a Miles Davis e a farlo diventare un membro dell’illustre quintetto che probabilmente ci ha dato la più celebrata e amata musica del nostro tempo? Come possiamo spiegare il fatto che quando Miles Davis ha riunito i suoi musicisti per registrare, ogni cosa è finita perfettamente al suo posto, come fosse già stato deciso -- fino alla scelta dello studio. Lo studio di Rudy Van Gelde, nscosto ad Engelwood, New Jersey, è diventato il posto dove sarebbe stata documentata per sempre nei nostri cuori e nella nostra mente una musica rivoluzionaria. Per me era chiaro che era il destino ad avermi condotto a poter intervistare un uomo che mi mancava solo di adorare.

Mentre sto scrivendo questo articolo, qualcuno in sottofondo sta cianciando sull’ultimo controverso video di Madonna, un video troppo violento per essere mostrato in televisione. Interrogata sulla questione, sembra che Madonna abbia asserito che lo scopo di tale video fosse quello di “sollevare questioni e aprire un dialogo”. Ron Carter ha raggiunto lo stesso obbiettivo solo con l’aiuto del rivoluzionario suono del suo basso. Quando avevo sei anni, mio padre (un trombettista che ha girato il mondo con Tito Puente), mi introdusse alla musica di Miles, Tito e Freddie Hubbard. La musica da sola sollevava delle questioni ed inevitabilmente seguivano discussioni sulla vera arte e sul tipico suono di un eccellente musicista. Mi ricordo chiaramente di come guardavo la foto di Ron Carter sul retro del suo LP intitolato Peg Leg, che mio padre aveva in giro per casa. Col la sua barba e la sua pipa, Ron aveva una tale dignità da sembrare una specie di professore universitario. Effettivamente è proprio ciò che è per molti di noi. Il suo modo di suonare sull’LP faceva veramente scuola – era un Ron Carter d’annata; era un esempio di un modo di suonare il contrabbasso veramente avanzato. Le quinte, le seste maggiori i bicordi funky, il “piccolo bass”, il tono ruggente e il Do grave (per gentile concessione della sua estensione della tastiera), erano tutte li per essere ascoltate, assorbite ed imparate. Mi ricordo chiaramente che da ragazzo ascoltavo un LP di Freddie Hubbard intitolato Polar AC (prodotto da Creed Taylor), e Ron letteralmente mi sconvolse col riff di apertura del pezzo che portava il titolo dell’album e che sottolineava con stile il cambio di accordi da Re a Re sospeso. “Naturally” era la prima traccia del secondo lato dell’LP ed era arrangiata dal vincitore del Grammy Award Don Sebesky; il suono del basso di Ron era formidabile e quando arrivava a suonare quel Do grave sulla sua estensione di tastiera, verso la fine della strofa, sapevo di stare ascoltando qualcosa di speciale. Si può venire fuori con un dialogo che ispiri ancora di più?

La realtà è che tutti noi abbiamo avuto il privilegio di avere Ron come fonte di ispirazione ma chi è che ha ispirato Ron? Gli ho chiesto se ci fossero stati dei bassisti che ascoltava, all’inizio della sua carriera e mi ha risposto:

“Inizialmente no, ascoltavo J.J. Johnson e [il sassofonista baritono] Cecyl Payne. J.J. era un trombonista capace di far fare qualcosa allo strumento che fosse un po’ più dello “slip and slide”. Aveva trovato un modo di suonare tutte quelle note e quegli intervalli senza andare oltre il ruolo del suo corno. Cecil Payne venne fuori quando c’erano Gerry Mulligan e Harry Carney che suonavano più o meno con lo stesso sound, e lui fu capace di trovare una propria qualità, chiaramente con un approccio personale allo strumento, almeno in termini sonici.”

Vedete, Ron ha imparato a sviluppare un suono personale, in parte dall’esposizione a JJ e Cecil Payne. Questa è forse una delle lezioni più importanti che si possano imparare da Ron; è decisivo saper sviluppare un proprio stile a prescindere dallo strumento suonato. Ci si può ispirare dall’ascolto degli altri, ma senza plagiarli. Bisogna innovare, non imitare! È l’unico modo per mantenere il controllo.

Ron ha pronto un nuovo CD, intitolato “When skies are grey”. È un collezione di classe, con influenze latine, tutta ancorata dalla sua maestria sul basso. Secondo Ron l’arrangiatore Bob Freedman ha giocato un grande ruolo nel suono compatto e definito del CD. I due hanno lavorato assieme fin dagli anni 70 (Freedman era l’arrangiatore dell’LP “Peg Leg”).

“È un arrangiatore meraviglioso – afferma Ron – ha lavorato con Lena Horne, Harry Belafonte, è semplicemente meraviglioso. Mi piace come scrive, come lavora, mi piace quello che fa.”

Come tutti i veri innovatori, Ron non aveva in mente, per “When skies are grey”, di competere o copiare le grandi latin band di oggigiorno; “non ho cercato di imitare i grandi, come Tito Puente, visto che loro fanno le loro cose con quelle grandi orchestre molto meglio di quanto io possa fare con un quartetto; volevo riconoscere la loro presenza sulla scena jazz e far sentire alla gente che anche se non hai tre violini, cinque trombe e sei percussionisti, puoi sempre suonare latino”

Il percussionista Steve Kroon, il pianista Stephen Scott ed il batterista Harvey Mason hanno portato i loro unici stili e sonorità per rendere questo disco meraviglioso. Mi sono sorpreso di trovare Harvey Mason su questo CD (pensando fosse principalmente un batterista funk/R&B). Nel dirlo a Ron, lui mi ha risposto:

“Sento spesso la gente sorprendersi di trovare Harvey in un contesto Jazz, e ciò sorprende me, perché io l’ho sempre conosciuto come un batterista jazz, non l’ho conosciuto attraverso gli altri generi musicali a cui tutti sembra lo associno.”

Tutto il materiale sul disco è forte e l’esecuzione stellare. Fin dal pezzo di apertura, intitolato “Loose change” il tocco di Ron è evidente. Mette giù il groove di apertura come solo lui sa fare, incorporando quinte maggiori armonicamente nella linea di basso. “Besame Mucho” è il secondo pezzo del CD, ma prima che l’associate a Julio Iglesias, pensateci bene. L’arrangiamento di Bob Freedman è veramente fresco e tosto. I miei pezzi preferiti sono “Corcovado” (che fu scritta da Antonio Carlos Jobim) e “Mi tiempo”, un pezzo di Ron. Su “Corcovado” Ron suona la melodia e Stephen Scott abbellisce il tutto con dei bei voicing di accordi. “Mi tiempo” è una stravaganza alla Ron Carter, in cui egli stesso è il catalizzatore di alcune grandi interazioni fra Steve Kroon e Harvey Mason. Insomma è tutto buono.

Come quelli di voi che hanno seguito la sua carriera già sapranno, Ron è sempre stato un innovatore, in termini di timbro. È stato il primo bassista ad ottenere veramente un timbro ruggente sul contrabbasso. Ho ascoltato attentamente ogni aspetto di “When skies are grey” e mi è sembrato che il suono di Ron fosse un po’ più caldo e rotondo, in questa particolare occasione. Mi sono chiesto se avesse fatto qualcosa di diverso, nella registrazione e mi ha risposto:

“Come saprai, quando si incide un disco molte cose non sono sotto il tuo controllo. Ci sono molti processi che avvengono dopo la registrazione che possono alterare il timbro; nello studio avvengono circa sei fasi  e i tecnici possono azzeccarle come no, Il basso suona diversamente ogni giorno, le mie mani anche, ma per ciò che concerne il timbro del nuovo CD non è nulla che io abbia fatto consciamente.”

In studio Ron non usa mai un amplificatore per registrare le sue parti. Le sue mani sono l’elemento chiave per il suo meraviglioso suono. Come tutti sanno è questo il punto di partenza per un buon suono del basso; in particolare, però, Ron registra il suo basso con un microfono Neumann. Lo strumento che usa è lo stesso dal 1959, uno Juzek, “le cui parti sono state fatte in Cecoslovacchia e assemblate in Germania, prima che questa fosse divisa, più o meno nel 1910. Ho un’estensione della tastiera che ho fatto installare negli anni ‘70, probabilmente la prima nel suo genere, che ora è diventata uno standard nel jazz. Uso corde La Bella 7710, che sono corde con l’anima d’acciaio rivestite di nylon nero; ormai le uso da dodici anni, e poi ho un pickup David Gage (The Realist).”

Guardando al futuro, ho voluto sapere quali fossero le considerazioni di Ron sulla musica rap ed hip hop. Dato che l’industria musicale è diventata un’enorme calderone mi sono chiesto se per caso ci potesse essere una futura offerta hip hop per Ron.

“Il linguaggio di gran parte del rap e piuttosto grezzo per la gente della mia età. Non apprezzo alcune delle parole e dei pensieri espressi. Se alcuni di quei rappers volessero veramente diventare i poeti che pretendono di essere, dovrebbero avere gente che suona dal vivo con loro per agire sul serio sulla musica.” Ron inoltre fa notare che “A Tribe Called Quest e Dr. Dre conoscono il jazz, solo che non ci sono stati dentro abbastanza per sentirne la necessità di incorporarlo nella loro musica, specialmente dal vivo.”

Una cosa è certa: anche se ora non ho nessun CD di hip hop, se Dr. Dre ingaggiasse Ron per un futuro progetto, potrebbe star certo che lo comprerei il suo CD!

Per vostra informazione Ron è un professionista laureato presso la Eastman School of Music e con un Master alla Manhattan School of Music. Ha insegnato musica al City College di New York per quasi vent’anni.

“Ho insegnato a tempo pieno per gli scorsi diciannove anni, alla CCNY, sulla 138ma strada e sulla Convert Avenue (212-650-5411). Insegno a quattro ensemble e a sette studenti di contrabbasso.” Alla domanda se ci fossero dei prodigi sotto le sue ali, Ron risponde: “Mostrano tutti  buone premesse; quello che faranno una volta fuori è un’altra storia, però mostrano tutti ottime premesse”

In questi tempi di esagerazioni e mode, è facile trovare una nuova “stella”, ma è sempre più difficile trovare della buona musica. Abbiamo spettacoli in cui delle belle facce vengono premiate con contratti discografici senza meritarselo, come invece dovrebbe fare ogni musicista per raggiungere livelli sempre più alti. Ron Carter si è meritato tutto ciò che ha, e come risultato è vissuto ed è maturato nel peggiore dei periodi. È un modello per tutti – bianchi, neri, di qualsiasi etnia, è la prova vivente che è possibile vivere come musicista senza doversi svendere o cercare di copiare la “moda del mese” delle dozzine di band cui siamo stati sommersi recentemente.

Comunque bisogna notare che l’industria musicale in sé ha il suo prezzo. Sul piano personale, nel tentativo di “farcela”, chi vi scrive ha scartato molta della musica e molti dei musicisti che una volta erano importanti, quando era un giovane ed ottimista principiante. Cercare di farsi un nome e lavorare nella scena spietata musicale Newyorchese può sembrare devastante. Ascoltando il CD di Ron mi è tornata la fantastica energia musicale che una volta mi ispirava. Ron è ancora qua, adesso, ad illuminarci ed ispirarci e per tutto questo devo dirgli grazie.

Se le vostre intenzioni musicali sono serie vi raccomando caldamente di prendere “When skies are grey”. Ascolterete il bassista jazz vivente più quotato – il solo ed unico Ron Carter. Fate si che il vostro scopo sia imparare da lui e ne sarete arricchiti.

Tristemente, una settimana prima delle registrazioni di “When skies are grey”, la moglie di Ron è morta. È qualcosa che non mi sono sentito di parlarne con lui, durante l’intervista, ma penso sia importante che il lettori di Global Bass mandino a Ron un loro pensiero. Lui, il consumato professionista, ha dovuto mettere da parte il dolore e entrare in studio per fare della musica. Le mie più profonde condoglianze a Ron e a tutta la sua famiglia.

Vorrei ringraziare Ron Carter, Cem Kurosman, Marty Straub e soprattutto, Warren Murchie, per avermi dato questo onore.

Tony Senatore, 22 Marzo, 2001

Potete contattare Tony presso tonysenatore@gmail.com

Il suo sito web è http://www.senny.com/

 

                             

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