Global Bass Online March 2002
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by Alessandro Arcuri Quando un gruppo musicale, come Elio
E Le Storie Tese, può permettersi di sperimentare ogni genere musicale pur
rimanendo sempre riconoscibilissimo, è chiaramente il frutto di un’alchimia
particolare fra i suoi componenti; ma come può un musicista essere in grado di
risultare sempre credibile in situazioni musicali diversissime fra loro? È un
percorso di continua evoluzione o bisogna essere dei mostri in partenza? Faso ha
una sua ricetta… Alessandro:
come prima cosa, visto che sicuramente parleremo di Elio e le storie tese, ciò
che viene subito in mente è la versatilità, dato che avete fatto cose in più
o meno tutti i generi musicali; il tuo è un approccio proprio, cioè conosci
tantissimi generi musicali, o impari dagli altri? Non so, qualcuno ti fa sentire,
per dire, una tipica clave sudamericana e ti dice come fare, o sei tu che hai un
repertorio inesauribile? Faso: no, non ho un
repertorio inesauribile, anzi purtroppo la mia discoteca non è di quelle da
centomila dischi, tuttavia quando si tratta di esplorare un genere nuovo – e
ti faccio l’esempio di “el pube”, che è un brano salsa, che io
non avevo mai suonato – quando vogliamo fare qualcosa in un genere particolare
nella maniera più verace possibile… in quel caso io semplicemente mi sono
comprato due o tre CD. Ho preso Ruben Blades, Cachao ed un altro paio di cose,
per tirare un po’ giù le loro robe, per entrare nell’atmosfera, e cercavo
di capire cosa facesse il basso nei classici del genere, almeno per avere una
direzione. Poi dopo io mi metto lì ed invento un po’. Il gruppo è come uno
chef che mangia una cosa buona e dice “com’è che l’hanno fatta questa?”,
e poi ci aggiungo delle mie spezie. Probabilmente dei puristi potrebbero dire
che quella cosa lì non è classica, però… senò si fanno sempre le stesse
cose, a me piace provare a mettere il piede in generi che magari non sono quelli
nostri, italiani, e vedere se riesco a metabolizzare qualcosa. A: io una volta
sono venuto ad un tuo seminario di basso e batteria, che hai tenuto a Vicenza
insieme a Christian Mayer, e mi ricordo che hai detto come, insieme a Christian,
molte delle parti ritmiche e i passaggi più complessi, ve li studiate nota per
nota, tirandovi giù le divisioni ritmiche molto accuratamente. F: si, sulla
ritmica siamo maniaci, e questo è un fatto, però devo dire che fin da bambino
ho sempre avuto un’attenzione particolare per la batteria e per le divisioni
ritmiche, tant’è che – e non lo dico per vantarmi – sai quando i
batteristi ti sfidano dicendoti “ti faccio sentire questo tempo qua e tu dimmi
dov’è il battere”, beh io lo indovino quasi sempre. A: però a Vicenza
hai detto che sarebbe compito del batterista “devi dirmelo tu dov’è il
battere… PIRLA!” F: esatto, esatto,
bravo! Però sai, a volte, così per gioco si prova, metti anche con degli inizi
strani che uno dice “cazzo ma com’è sta roba?”… però a me viene
abbastanza naturale. Con Christian facciamo un lavoro molto spesso orientato su
un micro-arrangiamento, magari da un pattern semplice si possono ottenere di
colori, delle cose, che rendono il pattern semplice un po’ speziato o comunque
interessante; all’interno di una sua struttura molto elementare può avere
qualche colore, qualche cosina, qualche micro-obbligato. Perché sai, uno può
fare gli stacchi tipo: [mima un passaggio
di batteria indiavolato], e sono quelli clamorosi, però poi anche dentro un
“boom chack, boom – boom, chack” ci può essere un’aperturina di
charleston e cose così che insomma, rendono, danno colore. A: e quindi
l’improvvisazione, specie in Elio e Le Storie Tese, dove va a finire? F: nooo, di
improvvisazione ce n’è tantissima, perché l’approccio che ho ultimamente
col basso – e dico ultimamente perché una volta ero più legato alle mie
parti, nel senso che avendo trovato una linea di basso che funziona, me la
risuonavo, sostanzialmente - invece adesso no, salvo brani che sono costruiti
sul riff come per esempio “mio cuggino”, che fa [mima
la parte di basso] e non posso mica cambiarlo! È come “walking on the
moon”! Se lo cambi sei un cretino! E c’è gente che lo cambia, eh! La cosa
che mi fa impazzire ultimamente, e scusa se faccio questa divagazione, è che
quando si ha un approccio ad un brano bisogna riuscire ad individuare le cose
fondamentali di quel pezzo. Nel caso particolare di alcuni brani semplici
cantati, per esempio “Imagine” di John Lennon… recentemente mi è capitato
di andare nei jazz club e praticamente vederla trasformata in “round
midnight”, si, con ottomila accordi e con le melodie tipo [esegue
una caricatura di una cantante jazz ultra sexy e un po’ blasè]
“imagine… … … allthepeople….” E dico ma cazzo! Ma cazzo! La melodia
è quella lì, canta quella lì! Sarebbe come dire “ragazzi vi faccio walking
on the moon”… [inizia a cantare la linea di basso originale e chiude con un riff
pazzesco tipo slap] “boom, ba-boooom… tak ta-bop, ta ka bop-ta booom”,
al che Sting si alza e dice “ma sei scemo?” Ecco, questo per dirti che i brani la cui linea
di basso è costruita in un certo modo e funge da riff, non li tocco, tutti gli
altri dove in realtà si accompagna sugli accordi cerco di avere un approccio
molto jazz, se vogliamo, cioè mi muovo, mi invento qualche cosa, prendo anche
dei rischi, sbaglio, anche, però possono venire fuori delle cose interessanti
che quando mi capita di risentire… credo che il top, uno dei momenti più
belli per un musicista è quando senti una cosa che hai fatto e te la devi
tirare giù. A: ah! Si! Delle
volte ho veramente dei problemi e mi dico “ma che cazzo ho fatto, quella volta?”
anche perché faccio fatica a riascoltare cose appena incise, perché mi escono
fuori dalle orecchie, però se lo riascolto dopo qualche tempo mi dico “ah,
però…”, però magari non mi ricordo cosa ho fatto e ho difficoltà a
ritornare sui miei passi, è stranissimo. F: eh si, si, lo
so, succede, però ogni tanto quando senti delle cose belle e le hai fatte tu ma
non sai come è veramente una figata! A: beh, dopo aver
parlato di improvvisazione e pattern ritmici tirati giù a tavolino non si può
non notare che l’elemento principale del tuo modo di suonare è il funk. F: mah, sai, non lo
so, perché devo dirti che le mie basi musicali sono particolari, e per basi
intendo dire quelle che ti fai da bambino, perché io da piccolo ero un grosso
cultore dei Deep Purple, dei Led Zeppelin ed in particolare Genesis e Yes. Oddio…
di funky… A: eh, di funky non
è che c’è molto, però poi citi spesso gli Earth Wind & Fire, i
Commodores… F: esatto, perché
queste cose le ho scoperte successivamente. Dopo quel momento dedicato a quello
che era chiamato il rock sinfonico, ho scoperto i Wheather Report, con lo
sconvolgimento conseguente che solo Jaco Pastorius poteva infondere nell’animo
di un giovane bassista. Perché mi sono detto “ma cosa fa questo qui? È pazzo?”
cioè era una cosa sconvolgente, per me. Ascoltavo questa musica che in realtà
non mi piaceva tanto, perché non ero pronto, proprio, e non capivo bene, però
sentivo questo basso pazzesco e godevo. Ecco, e lì ho cominciato effettivamente
a suonare il basso, poi in una seconda fase, ma proprio diversi anni dopo, ho
cominciato a conoscere, e di questo devo, ringraziare Feyez, che mi fece
ascoltare il “the very best” degli Earth Wind & Fire, che io snobbavo un
po’, sai quell’approccio da cretino “ma cos’è? Disco music?”, e
invece, cazzo, sono rimasto folgorato! Per la seconda volta nella mia vita ho
detto “ma porca miseria, questa cosa qua è bellissima! Ha un tiro pazzesco!
Voglio suonare la disco-dance!” Vorrei suonare gli Earth Wind & Fire, lo
dico ancora adesso, vorrei tantissimo suonare con gli Earth Wind & Fire. A: e sei rimasto
anche tu vittima, negli anni 80 dello “slap a tutti i costi” o sei rimasto
fedele alla vecchia scuola del funk? F: no, guarda, la
fase slap ce l’hanno un po’ tutti i bassisti, ed è giusto che ce
l’abbiano; anche io, fai conto nel 90, era la fase in cui studiavo ancora, mi
facevo “slap it”, facevo gli esercizi del circo del pollice, per poi
scoprire ed approdare a quello che è forse è l’essenza dello slap, cioè che
è un suono, oltre che una tecnica, esattamente come può esserlo il plettro.
Quindi in certe cose, se suoni bene, ci sta da dio, in certe altre no e,
figurati, con grande umiltà, è una cosa che mi permetto di rimproverare a
Marcus Miller, che ha il miglio suono di slap e il miglior groove che abbia mai
sentito, però, oh… fra un po’ suona slap anche le ballad! Quando gli ho
sentito fare “Teentown” di Pastorius, slap, ho pensato “questo qui è il
Circo Togni!”. Perché non è un brano, non so come dire… non è un brano da
risuonare! L’originale è talmente bella! Se trovassi, non so, un violinista
che la rifà, direi “cacchio che figata”, ma farla col basso e farla slap è
come dire “adesso, ragazzi ve la faccio slap così poi studiate per sei mesi!” A: ha ha! Certo…
ma quando collabori al di fuori di Elio e Le Storie Tese… F.: mi capita poco, eh… A: ti capita poco?
Beh, però ti è capitato con Daniele
Silvestri… F: si, si,
qualcosina, però mi capita poco perché il mondo della musica italiana è
strano, è strano in questo senso: siccome io sono il bassista di un gruppo non
vengo tanto vissuto come un bassista da chiamare in studio, ma con questo non è
che voglio esortare tutti a chiamarmi per farmi suonare in dei dischi che magari
non mi piacciono… però mi capita raramente, ecco. A: e in quei casi
come affronti una situazione diversa, con un batterista diverso e sicuramente
anche un ambiente diverso? F: di solito ho un
approccio di questo genere; siccome mi piace suonare e mi diverto, io vado lì e
sento cosa vogliono da me, e se è nelle mie corde, nelle mie possibilità
glielo faccio. Se poi c’è spazio per della creatività e dell’inventiva
extra non mi tiro indietro; io sono un tipo che propone, per cui se sento che
c’è qualcosa che non va tento anche di dare dei suggerimenti, che poi magari
non sono neanche idee bruttissime, però se mi viene in mente qualcosa, come lo
faccio con Elio sui dischi lo faccio anche con gli altri. A: certo, e il
fatto di essere “il bassista del gruppo”, se da una parte ti limita, per via
di questa particolarità del mondo musicale italiano a cui accennavi prima,
dall’altra parte hai per caso trovato che una volta che ti chiamano ti danno
anche più credito? Come dire “oh cazzo, questo è il bassista di Elio e Le
Storie Tese! Facciamogli fare tutto quello che vuole” o ti pigliano più sul
serio, come dire “vediamo cosa sa fare”? F: no, diciamo che
arrivo e trovo un territorio fertile, nel senso che le volte che mi hanno
chiamato mi hanno sempre accolto ben predisposti; è anche vero che uno sente
quello che fai e pensa “vabè, quello lì il basso lo saprà suonare”…
devo anche dire che sono stato fortunato perché quasi tutti quelli che mi hanno
chiamato, lo hanno fatto perché volevano da me delle cose un po’ particolari.
Sapendo che noi le facciamo hanno chiamato me e ho avuto abbastanza carta bianca. A: una cosa che ho
notato è che sei abbastanza monocorde nella scelta dei bassi, vero? Hai sempre
lo Yamaha TRB 6; è stato un amore a prima vista o ne hai provati settecentomila
e poi torni sempre lì? F: ma, guarda, più
o meno, perché io ho tanti bassi, ho un bel Rickenbacker tipo Chris Squire, che
mi fa impazzire, ho un vecchio Fender Jazz del 63 mi pare, che è stato il mio
primo basso, molto Jaco-style, anche nel colore… ma è un caso, eh… ho fatto
cambio con un amplificatore, avevo un amplificatore per chitarra, è arrivato
uno e mi fa “senti io ho questo basso, mi piace il tuo ampli da chitarra”,
cazzo, ho fatto cambio subito! Però ultimamente, sebbene del mio sei corde, per
esempio in un concerto di Elio e Le Storie Tese uso forse solo il quattro corde
che in esso è contenuto e un po’ la quinta corda… A: quella più
grave o quella più acuta? F: quella più
grave, giusto per esplorare quelle due – tre note extra che vengon comode…
però il suono di quello Yamaha lì mi piace particolarmente e, pur avendo io
una mano non grandissima (e quel basso è una specie di pista per le
automobiline, come larghezza di manico), mi trovo benissimo. Ho un controllo
ottimo di quello strumento e mi trovo proprio “a casa”, come in un paio di
ciabatte. Suona bene, suona bene sempre e anche Rodolfo
Bianchi, il nostro bravissimo fonico con quarant’anni di esperienza, mi dice
“cazzo Faso, quando tiro su il gain del tuo basso, anche se siamo nel
palazzetto, si sente bene”. Cosa vuoi di più dalla vita? A: infatti… e
visto che sei conosciuto e famoso, specialmente nell’ambito giovanile, i tuoi
allievi, proprio per il fatto che sei famoso, ti chiedono di fargli la parte di
basso di questo o quel pezzo o vengono da te seriamente, tipo “ho questi
problemi, vediamo di risolverli”? F: ma, guarda, ti
dico, io ho insegnato fino a due anni fa, avevo cinque o sei allievi e, insomma,
hanno dovuto scoprire che non ero così simpatico come docente come potevo
esserlo come intrattenitore… A: eri abbastanza
“nazista”? F: si, perché ho
sempre chiesto a loro massima serietà, perché sostanzialmente uno sceglie di
suonare il basso; non siamo in un paese dove c’è una scuola di basso
elettrico che frequenti e rinvii il militare; ora… scegli di venire da me,
paghi dei soldi, e comunque io mi sono sempre tenuto su delle tariffe misere (e
spiegavo sempre ai ragazzi che di quei soldi io potevo anche fare a meno), però
se la nostra ora è produttiva, è utile, sono contento. Cioè se ci vediamo la
settimana prossima che fate delle robe meglio, mi ripaga più questa cosa che
non le trenta o cinquantamila lire! E quindi ero molto severo sullo studio e
sulle cose da fare. Anche perché io ho sempre dato da studiare tante canzoni,
cioè mi ero inventato questo stupido metodo, cioè: c’è da studiare la scala
minore. Bene… siccome farsi la scala minore avanti e indietro è una rottura
di palle, studiamo un pezzo che la contiene! Così nel frattempo ce la impariamo.
Tra le varie cose ho fatto fare anche qualche brano di Elio e Le Storie Tese. Mi
ricordo un paio dei miei allievi che verso la fine del corso mi avevano chiesto
di trascrivergli o di fargli vedere l’introduzione di “El pube”. A: quella lì è
una parte bella tosta! Groove e melodia assieme! F: si, ne sono
molto fiero, devo dire… A: è tua o è di
Elio? [Elio la suona all’unisono sul flauto traverso N.d.A.] F: no, quella è
mia… A: ah, è tua!
Quindi Elio ti ha seguito! F: si, io l’avevo
fatta così perché il pezzo inizia con lo stacco di fiati e c’era
quest’introduzione di percussioni, che aveva fatto il povero Naco, e
sentendola avevamo pensato che sarebbe stato bello farci qualcosa sopra. Io ho
detto “vabè, vado a casa e scrivo qualcosa”, e mi è venuta fuori quella
roba lì. Poi abbiamo pensato, per copiare un po’ il sound latino, di
doppiarla col flauto. A: figata! Infatti
all’inizio ti viene da pensare “cazzo! Faso che va dietro al flauto!” e
invece è il contrario! F: eh si… ma
quello è anche un po’ il sintomo di una mentalità un po’ tutta italiana… A: che il basso
deve essere per forza uno strumento di supporto e basta? F: non solo…
anche che la figura importante in un gruppo è per forza il cantante. A: ah… vabè…
eeee… consigli per un bassista principiante? F: per un
principiante? Mah forse il consiglio più banale del modo: suonare, suonare,
suonare. Perché secondo me impari molto di più prendendo il basso, accendendo
la radio e suonando, andando dietro ai pezzi, che non mettendosi lì a fare le
scale. Perché poi una scala fatta avanti e indietro non c’è in nessun pezzo, A: forse in quelli
di Malmsteen, che però ha rotto i maroni! F: heh heh, e poi,
consiglio aggiuntivo, anche questo semplice ma trascurato: sapere quello che si
fa! Cioè io trovo tantissimi bassisti (chitarristi, poi, a centinaia), che
mettono le dita sul manico e non sanno che nota stanno schiacciando. A me questa
cosa qua… mi fa impazzire. Perché, dico, tu magari puoi non saper fare “Teentown”,
però se metti un dito su un Do, perché non devi sapere che stai suonando un
Do? Che poi è anche più facile comunicare! Quello lì per me è un mistero! A: potreste farci
il prossimo disco! Un grazie a Paolo Costa e Franca Cristofoli per aver reso possibile quest’intervista.
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