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Faso in Italian

 

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by Alessandro Arcuri

Quando un gruppo musicale, come Elio E Le Storie Tese, può permettersi di sperimentare ogni genere musicale pur rimanendo sempre riconoscibilissimo, è chiaramente il frutto di un’alchimia particolare fra i suoi componenti; ma come può un musicista essere in grado di risultare sempre credibile in situazioni musicali diversissime fra loro? È un percorso di continua evoluzione o bisogna essere dei mostri in partenza? Faso ha una sua ricetta…  

Alessandro: come prima cosa, visto che sicuramente parleremo di Elio e le storie tese, ciò che viene subito in mente è la versatilità, dato che avete fatto cose in più o meno tutti i generi musicali; il tuo è un approccio proprio, cioè conosci tantissimi generi musicali, o impari dagli altri? Non so, qualcuno ti fa sentire, per dire, una tipica clave sudamericana e ti dice come fare, o sei tu che hai un repertorio inesauribile? 

Faso: no, non ho un repertorio inesauribile, anzi purtroppo la mia discoteca non è di quelle da centomila dischi, tuttavia quando si tratta di esplorare un genere nuovo – e ti faccio  l’esempio di “el pube”, che è un brano salsa, che io non avevo mai suonato – quando vogliamo fare qualcosa in un genere particolare nella maniera più verace possibile… in quel caso io semplicemente mi sono comprato due o tre CD. Ho preso Ruben Blades, Cachao ed un altro paio di cose, per tirare un po’ giù le loro robe, per entrare nell’atmosfera, e cercavo di capire cosa facesse il basso nei classici del genere, almeno per avere una direzione. Poi dopo io mi metto lì ed invento un po’. Il gruppo è come uno chef che mangia una cosa buona e dice “com’è che l’hanno fatta questa?”, e poi ci aggiungo delle mie spezie. Probabilmente dei puristi potrebbero dire che quella cosa lì non è classica, però… senò si fanno sempre le stesse cose, a me piace provare a mettere il piede in generi che magari non sono quelli nostri, italiani, e vedere se riesco a metabolizzare qualcosa. 

A: io una volta sono venuto ad un tuo seminario di basso e batteria, che hai tenuto a Vicenza insieme a Christian Mayer, e mi ricordo che hai detto come, insieme a Christian, molte delle parti ritmiche e i passaggi più complessi, ve li studiate nota per nota, tirandovi giù le divisioni ritmiche molto accuratamente. 

F: si, sulla ritmica siamo maniaci, e questo è un fatto, però devo dire che fin da bambino ho sempre avuto un’attenzione particolare per la batteria e per le divisioni ritmiche, tant’è che – e non lo dico per vantarmi – sai quando i batteristi ti sfidano dicendoti “ti faccio sentire questo tempo qua e tu dimmi dov’è il battere”, beh io lo indovino quasi sempre. 

A: però a Vicenza hai detto che sarebbe compito del batterista “devi dirmelo tu dov’è il battere… PIRLA!” 

F: esatto, esatto, bravo! Però sai, a volte, così per gioco si prova, metti anche con degli inizi strani che uno dice “cazzo ma com’è sta roba?”… però a me viene abbastanza naturale. Con Christian facciamo un lavoro molto spesso orientato su un micro-arrangiamento, magari da un pattern semplice si possono ottenere di colori, delle cose, che rendono il pattern semplice un po’ speziato o comunque interessante; all’interno di una sua struttura molto elementare può avere qualche colore, qualche cosina, qualche micro-obbligato. Perché sai, uno può fare gli stacchi tipo: [mima un passaggio di batteria indiavolato], e sono quelli clamorosi, però poi anche dentro un “boom chack, boom – boom, chack” ci può essere un’aperturina di charleston e cose così che insomma, rendono, danno colore. 

A: e quindi l’improvvisazione, specie in Elio e Le Storie Tese, dove va a finire? 

F: nooo, di improvvisazione ce n’è tantissima, perché l’approccio che ho ultimamente col basso – e dico ultimamente perché una volta ero più legato alle mie parti, nel senso che avendo trovato una linea di basso che funziona, me la risuonavo, sostanzialmente - invece adesso no, salvo brani che sono costruiti sul riff come per esempio “mio cuggino”, che fa [mima la parte di basso] e non posso mica cambiarlo! È come “walking on the moon”! Se lo cambi sei un cretino! E c’è gente che lo cambia, eh! La cosa che mi fa impazzire ultimamente, e scusa se faccio questa divagazione, è che quando si ha un approccio ad un brano bisogna riuscire ad individuare le cose fondamentali di quel pezzo. Nel caso particolare di alcuni brani semplici cantati, per esempio “Imagine” di John Lennon… recentemente mi è capitato di andare nei jazz club e praticamente vederla trasformata in “round midnight”, si, con ottomila accordi e con le melodie tipo [esegue una caricatura di una cantante jazz ultra sexy e un po’ blasè] “imagine… … … allthepeople….” E dico ma cazzo! Ma cazzo! La melodia è quella lì, canta quella lì! Sarebbe come dire “ragazzi vi faccio walking on the moon”… [inizia a cantare la linea di basso originale e chiude con un riff pazzesco tipo slap] “boom, ba-boooom… tak ta-bop, ta ka bop-ta booom”, al che Sting si alza e dice “ma sei scemo?”

Ecco, questo per dirti che i brani la cui linea di basso è costruita in un certo modo e funge da riff, non li tocco, tutti gli altri dove in realtà si accompagna sugli accordi cerco di avere un approccio molto jazz, se vogliamo, cioè mi muovo, mi invento qualche cosa, prendo anche dei rischi, sbaglio, anche, però possono venire fuori delle cose interessanti che quando mi capita di risentire… credo che il top, uno dei momenti più belli per un musicista è quando senti una cosa che hai fatto e te la devi tirare giù. 

A: ah! Si! Delle volte ho veramente dei problemi e mi dico “ma che cazzo ho fatto, quella volta?” anche perché faccio fatica a riascoltare cose appena incise, perché mi escono fuori dalle orecchie, però se lo riascolto dopo qualche tempo mi dico “ah, però…”, però magari non mi ricordo cosa ho fatto e ho difficoltà a ritornare sui miei passi, è stranissimo. 

F: eh si, si, lo so, succede, però ogni tanto quando senti delle cose belle e le hai fatte tu ma non sai come è veramente una figata! 

A: beh, dopo aver parlato di improvvisazione e pattern ritmici tirati giù a tavolino non si può non notare che l’elemento principale del tuo modo di suonare è il funk. 

F: mah, sai, non lo so, perché devo dirti che le mie basi musicali sono particolari, e per basi intendo dire quelle che ti fai da bambino, perché io da piccolo ero un grosso cultore dei Deep Purple, dei Led Zeppelin ed in particolare Genesis e Yes. Oddio… di funky… 

A: eh, di funky non è che c’è molto, però poi citi spesso gli Earth Wind & Fire, i Commodores… 

F: esatto, perché queste cose le ho scoperte successivamente. Dopo quel momento dedicato a quello che era chiamato il rock sinfonico, ho scoperto i Wheather Report, con lo sconvolgimento conseguente che solo Jaco Pastorius poteva infondere nell’animo di un giovane bassista. Perché mi sono detto “ma cosa fa questo qui? È pazzo?” cioè era una cosa sconvolgente, per me. Ascoltavo questa musica che in realtà non mi piaceva tanto, perché non ero pronto, proprio, e non capivo bene, però sentivo questo basso pazzesco e godevo. Ecco, e lì ho cominciato effettivamente a suonare il basso, poi in una seconda fase, ma proprio diversi anni dopo, ho cominciato a conoscere, e di questo devo, ringraziare Feyez, che mi fece ascoltare il “the very best” degli Earth Wind & Fire, che io snobbavo un po’, sai quell’approccio da cretino “ma cos’è? Disco music?”, e invece, cazzo, sono rimasto folgorato! Per la seconda volta nella mia vita ho detto “ma porca miseria, questa cosa qua è bellissima! Ha un tiro pazzesco! Voglio suonare la disco-dance!” Vorrei suonare gli Earth Wind & Fire, lo dico ancora adesso, vorrei tantissimo suonare con gli Earth Wind & Fire. 

A: e sei rimasto anche tu vittima, negli anni 80 dello “slap a tutti i costi” o sei rimasto fedele alla vecchia scuola del funk? 

F: no, guarda, la fase slap ce l’hanno un po’ tutti i bassisti, ed è giusto che ce l’abbiano; anche io, fai conto nel 90, era la fase in cui studiavo ancora, mi facevo “slap it”, facevo gli esercizi del circo del pollice, per poi scoprire ed approdare a quello che è forse è l’essenza dello slap, cioè che è un suono, oltre che una tecnica, esattamente come può esserlo il plettro. Quindi in certe cose, se suoni bene, ci sta da dio, in certe altre no e, figurati, con grande umiltà, è una cosa che mi permetto di rimproverare a Marcus Miller, che ha il miglio suono di slap e il miglior groove che abbia mai sentito, però, oh… fra un po’ suona slap anche le ballad! Quando gli ho sentito fare “Teentown” di Pastorius, slap, ho pensato “questo qui è il Circo Togni!”. Perché non è un brano, non so come dire… non è un brano da risuonare! L’originale è talmente bella! Se trovassi, non so, un violinista che la rifà, direi “cacchio che figata”, ma farla col basso e farla slap è come dire “adesso, ragazzi ve la faccio slap così poi studiate per sei mesi!” 

A: ha ha! Certo… ma quando collabori al di fuori di Elio e Le Storie Tese… 

F.: mi capita poco, eh… 

A: ti capita poco? Beh, però ti è capitato con Daniele Silvestri 

F: si, si, qualcosina, però mi capita poco perché il mondo della musica italiana è strano, è strano in questo senso: siccome io sono il bassista di un gruppo non vengo tanto vissuto come un bassista da chiamare in studio, ma con questo non è che voglio esortare tutti a chiamarmi per farmi suonare in dei dischi che magari non mi piacciono… però mi capita raramente, ecco. 

A: e in quei casi come affronti una situazione diversa, con un batterista diverso e sicuramente anche un ambiente diverso? 

F: di solito ho un approccio di questo genere; siccome mi piace suonare e mi diverto, io vado lì e sento cosa vogliono da me, e se è nelle mie corde, nelle mie possibilità glielo faccio. Se poi c’è spazio per della creatività e dell’inventiva extra non mi tiro indietro; io sono un tipo che propone, per cui se sento che c’è qualcosa che non va tento anche di dare dei suggerimenti, che poi magari non sono neanche idee bruttissime, però se mi viene in mente qualcosa, come lo faccio con Elio sui dischi lo faccio anche con gli altri. 

A: certo, e il fatto di essere “il bassista del gruppo”, se da una parte ti limita, per via di questa particolarità del mondo musicale italiano a cui accennavi prima, dall’altra parte hai per caso trovato che una volta che ti chiamano ti danno anche più credito? Come dire “oh cazzo, questo è il bassista di Elio e Le Storie Tese! Facciamogli fare tutto quello che vuole” o ti pigliano più sul serio, come dire “vediamo cosa sa fare”? 

F: no, diciamo che arrivo e trovo un territorio fertile, nel senso che le volte che mi hanno chiamato mi hanno sempre accolto ben predisposti; è anche vero che uno sente quello che fai e pensa “vabè, quello lì il basso lo saprà suonare”… devo anche dire che sono stato fortunato perché quasi tutti quelli che mi hanno chiamato, lo hanno fatto perché volevano da me delle cose un po’ particolari. Sapendo che noi le facciamo hanno chiamato me e ho avuto abbastanza carta bianca.

A: una cosa che ho notato è che sei abbastanza monocorde nella scelta dei bassi, vero? Hai sempre lo Yamaha TRB 6; è stato un amore a prima vista o ne hai provati settecentomila e poi torni sempre lì? 

F: ma, guarda, più o meno, perché io ho tanti bassi, ho un bel Rickenbacker tipo Chris Squire, che mi fa impazzire, ho un vecchio Fender Jazz del 63 mi pare, che è stato il mio primo basso, molto Jaco-style, anche nel colore… ma è un caso, eh… ho fatto cambio con un amplificatore, avevo un amplificatore per chitarra, è arrivato uno e mi fa “senti io ho questo basso, mi piace il tuo ampli da chitarra”, cazzo, ho fatto cambio subito! Però ultimamente, sebbene del mio sei corde, per esempio in un concerto di Elio e Le Storie Tese uso forse solo il quattro corde che in esso è contenuto e un po’ la quinta corda… 

A: quella più grave o quella più acuta? 

F: quella più grave, giusto per esplorare quelle due – tre note extra che vengon comode… però il suono di quello Yamaha lì mi piace particolarmente e, pur avendo io una mano non grandissima (e quel basso è una specie di pista per le automobiline, come larghezza di manico), mi trovo benissimo. Ho un controllo ottimo di quello strumento e mi trovo proprio “a casa”, come in un paio di ciabatte.

Suona bene, suona bene sempre e anche Rodolfo Bianchi, il nostro bravissimo fonico con quarant’anni di esperienza, mi dice “cazzo Faso, quando tiro su il gain del tuo basso, anche se siamo nel palazzetto, si sente bene”. Cosa vuoi di più dalla vita? 

A: infatti… e visto che sei conosciuto e famoso, specialmente nell’ambito giovanile, i tuoi allievi, proprio per il fatto che sei famoso, ti chiedono di fargli la parte di basso di questo o quel pezzo o vengono da te seriamente, tipo “ho questi problemi, vediamo di risolverli”? 

F: ma, guarda, ti dico, io ho insegnato fino a due anni fa, avevo cinque o sei allievi e, insomma, hanno dovuto scoprire che non ero così simpatico come docente come potevo esserlo come intrattenitore… 

A: eri abbastanza “nazista”? 

F: si, perché ho sempre chiesto a loro massima serietà, perché sostanzialmente uno sceglie di suonare il basso; non siamo in un paese dove c’è una scuola di basso elettrico che frequenti e rinvii il militare; ora… scegli di venire da me, paghi dei soldi, e comunque io mi sono sempre tenuto su delle tariffe misere (e spiegavo sempre ai ragazzi che di quei soldi io potevo anche fare a meno), però se la nostra ora è produttiva, è utile, sono contento. Cioè se ci vediamo la settimana prossima che fate delle robe meglio, mi ripaga più questa cosa che non le trenta o cinquantamila lire! E quindi ero molto severo sullo studio e sulle cose da fare. Anche perché io ho sempre dato da studiare tante canzoni, cioè mi ero inventato questo stupido metodo, cioè: c’è da studiare la scala minore. Bene… siccome farsi la scala minore avanti e indietro è una rottura di palle, studiamo un pezzo che la contiene! Così nel frattempo ce la impariamo. Tra le varie cose ho fatto fare anche qualche brano di Elio e Le Storie Tese. Mi ricordo un paio dei miei allievi che verso la fine del corso mi avevano chiesto di trascrivergli o di fargli vedere l’introduzione di “El pube”. 

A: quella lì è una parte bella tosta! Groove e melodia assieme! 

F: si, ne sono molto fiero, devo dire… 

A: è tua o è di Elio? [Elio la suona all’unisono sul flauto traverso N.d.A.] 

F: no, quella è mia… 

A: ah, è tua! Quindi Elio ti ha seguito! 

F: si, io l’avevo fatta così perché il pezzo inizia con lo stacco di fiati e c’era quest’introduzione di percussioni, che aveva fatto il povero Naco, e sentendola avevamo pensato che sarebbe stato bello farci qualcosa sopra. Io ho detto “vabè, vado a casa e scrivo qualcosa”, e mi è venuta fuori quella roba lì. Poi abbiamo pensato, per copiare un po’ il sound latino, di doppiarla col flauto. 

A: figata! Infatti all’inizio ti viene da pensare “cazzo! Faso che va dietro al flauto!” e invece è il contrario! 

F: eh si… ma quello è anche un po’ il sintomo di una mentalità un po’ tutta italiana… 

A: che il basso deve essere per forza uno strumento di supporto e basta? 

F: non solo… anche che la figura importante in un gruppo è per forza il cantante. 

A: ah… vabè… eeee… consigli per un bassista principiante? 

F: per un principiante? Mah forse il consiglio più banale del modo: suonare, suonare, suonare. Perché secondo me impari molto di più prendendo il basso, accendendo la radio e suonando, andando dietro ai pezzi, che non mettendosi lì a fare le scale. Perché poi una scala fatta avanti e indietro non c’è in nessun pezzo, 

A: forse in quelli di Malmsteen, che però ha rotto i maroni! 

F: heh heh, e poi, consiglio aggiuntivo, anche questo semplice ma trascurato: sapere quello che si fa! Cioè io trovo tantissimi bassisti (chitarristi, poi, a centinaia), che mettono le dita sul manico e non sanno che nota stanno schiacciando. A me questa cosa qua… mi fa impazzire. Perché, dico, tu magari puoi non saper fare “Teentown”, però se metti un dito su un Do, perché non devi sapere che stai suonando un Do? Che poi è anche più facile comunicare! Quello lì per me è un mistero! 

A: potreste farci il prossimo disco!

 

Un grazie a Paolo Costa e Franca Cristofoli per aver reso possibile quest’intervista.

 

Alessandro Arcuri

 

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Last modified: June 16, 2009